Al di là del talento potè la noia

 

di Antonio Rezza

Come in ogni inizio ci fu l’entusiasmo che accompagna le cose da conoscere: il teatro mi affascinò non poco proprio in virtù della mediocrità di ciò che studente mi veniva imposto. Ricordo bene le “deportazioni” al Quirino, al Valle e al Teatro Argentina per vedere attori statali che si affannavano godendo così poco. Ma non provai tristezza, provai noia. La tristezza a 18 anni è cosa rara mentre la noia nasce con noi e ci accompagna spietata fino all’ultimo giorno, quando avremo poca noia di finire. Non c’è noia che non sia eterna ed io questa eternità me la sono inflitta. Immaginavo, già allora, di poter essere io su un palco a fare quel che mi passava per una testa mai completamente votata al sacrificio. Iniziai a 18 anni e per almeno 7 di quelli a venire mi dedicai anima e nulla all’idea del palcoscenico.

 

L’incontro con Flavia Mastrella, altra persona che si annoia, raddoppiò la mia insofferenza. Con l’aiuto di Massimo Camilli, tutt’ora muso e ispiratore delle opere teatrali, allestimmo una mostra fotografica sull’espressività del volto umano, il mio volto, la mia poca umanità. Spostammo le performance su carta fotografica e dopo sul nastro magnetico di una telecamera. Ebbe inizio così, tra il 1990 ed il 1996, una produzione accuratamente selvaggia di corti e cortissimi metraggi che puntualmente sbaragliavano la concorrenza e si imponevano nei festival di cinema nazionali. Ma di produttori nemmeno l’ombra, il nostro trattare oltre le mediocri righe dei loro spartiti, ci faceva infetti e senza casa. Costretti all’autarchia alternavamo, in quel periodo, film corti a spettacoli teatrali e, se con il teatro mi muovevo insieme alle intenzioni, con il cinema storicizzavo il mio incedere sconnesso.

 

Ma la noia era nell’aria. Nel 1996 sentimmo l’esigenza di fare un film con la pellicola, con un produttore, con una troupe, con delle attrici vere e con tanta gerarchia, gerarchia cui non voglio aver diritto. Il risultato fu sorprendente: si può lavorare bene anche con chi è pagato per farlo. Incredibile, non credevo ai loro occhi. “Escoriandoli” venne fischiato a Venezia con un accanimento sincero e bigotto. Contemporaneamente mi esibivo sui palchi di questa povera striscia di terra fatta a stivale per galleggiare nella melma. Mi veniva negata la televisione, il nostro teatro ed il linguaggio cinematografico venivano tenuti lontani dagli occhi di un pubblico a dir loro, a detta dei garanti delle pattumiere, poco preparato alla novità. Invece il pubblico è sempre preparato. L’ho imparato a spese loro. Comunque il consenso cresceva, “attore e autore contro”, “innovatore della parola e dello stare in scena”. Ma costretto a stare dove si vuole che tu stia. Ed io non sono ciò che vuole un altro, sono a malapena ciò che io non vorrei mai. E quindi oltre alla noia insita nell’arte si faceva spazio la noia verso il genere umano detentore degli spazi della comunicazione. Una noia che avrei volentieri camuffata in sterminio. “Da certi mali ci si libera solo con la morte”.

 

L’attività procedeva frenetica e incessante, mi venivano proposti libri che raccogliessero i testi degli spettacoli con video allegati. Proposte fatte su misura per pezzenti. E chi è pezzente ha ben motivo di accettare. Ma io nasco con l’aristocrazia nel cuore e ad ogni passo mi giro indietro per vedere se sono già passato. Decisi di scrivere il mio primo romanzo pubblicato da Bompiani. In quel periodo ero impegnato sul palco, sulle immagini e sulla pagina bianca. Al primo seguì il secondo. E tanto teatro. E ancora cinema. Il tutto accompagnato da recensioni entusiasmate: ma la popolarità che mi fa disperare continuava ad essermi lontana.

 

Finalmente, in preda a nuove insofferenze, ci venne proposta una trasmissione televisiva dove potevamo fare tutto noi. Benissimo. Erano interviste a corpo libero assolutamente deflagranti, tanto esplosive da venir ben presto confinate a notte fonda. Ma è dal fondo della notte che salimmo il viale alberato della popolarità solo apparentemente occulta. Dopo tanta espansione, teatro, cinema, letteratura e televisione, una sana ed imbecille ritorsione. Ci vennero negati quasi tutti gli spazi teatrali, la televisione, nonostante il successo del programma, se ne andò, ed il cinema iniziò a farci brutti scherzi: finanziamenti negati, pellicole censurate da distributori che sono quel che fanno. E in quel che fanno troveranno un rimpianto inconsapevole. Questa persecuzione rende la vita di me, grande attore, molto più interessante. Diventerò miliardario per accumulo, non ho bisogno dei miliardi ora. Ora ho le idee a tenermi in vita.

 

E mi accorgo di essere veramente popolare. Davanti a me c’è ammirazione ed io amo chi mi ammira, lo tocco, lo bacio, lo ritengo veramente migliore. Ma deve essere un’ammirazione fatta solo di sguardi. O di baci. Usatela la bocca per baciare e uscite dalla bocca insieme al bacio per poi posarvi sulle guance di chi non vi prevede. Ecco, il non prevedere quello che piacerà al pubblico, è un privilegio cui non potrò mai sottrarmi. Se tra tutte le cose che faccio dovessi sceglierne una preferirei la noia: che si trasformerà in noia per la vita. Peccato.

 

L’autarchia è un peccato capitale.